Buscar la vida
Buscar la vida a Las Palmatraz.
Quattro giorni fa la voglia di partire mi ha portato di nuovo on the road: zaino in spalla e pollice sulla highway, direzione Sud.
Ma una telefonata ad Andrea ci ha restituiti alle grinfie del porto, a collezionare un altro “no”. Ce l’ho, è un doppione.
Ci sono giorni in cui sembra impossibile andarsene da Las Palmas, paese dei balocchi: Oh Lucifero, perché iniziano a spuntarmi le orecchie d’asino?
E abbiamo sorriso anche oggi.
Ormai eravamo di nuovo lì, così abbiamo ricominciato a cercare una barca con l’entusiasmo di due evasi riacchiappati.
E invece abbiamo trovato uno spagnolo che ci ha prestato il suo tender a remi: perfetto per raggiungere le barche ferme all’ancora al largo, così inaspettato da restituirci l’ironia di due clandestini che, comunque, una barca l’hanno trovata!
Dopo poco vediamo un tender a motore che va nella stessa direzione: smettiamo di remare e iniziamo a sorridere. Il tipo capisce le nostre intenzioni e risponde con gesti abbastanza eloquenti. Ma alla fine Gilles ci dà un passaggio fino portarci fuori dal molo, dove le barche aspettano la partenza dell’ARC per poter entrare al porto.
Sono quasi tutte famiglie che vivono in barca e sono migrate alle Canarie per l’inverno, ma passare l’intero pomeriggio a scherzare con loro ci ripaga della falsa partenza della mattina.
Torniamo quando ormai è buio e siamo controcorrente ma fortuna vuole che Gilles ci salvi ancora!
Lasciamo il tender, un biglietto e due birre nella barca dello spagnolo e ci riprendiamo gli zaini che avevamo lasciato lì.
Quando non puoi muoverti, viaggia nelle persone.
Micha è russo. Ha costruito la sua casa in mezzo alla foresta, da solo. Ci ha messo due anni, durante i quali ha dormito in una tenda con la moglie e i due figli.
Due mesi fa, Micha si è reso conto che tutto era perfetto e non c’era altro da fare. Perciò ha rimandato la sua famiglia in Israele e ha deciso di partire per il mondo, senza meta e senza sorriso.
Prima di andare ha bruciato la sua casa, per non avere un posto dove tornare. adesso ha una vita alle spalle e niente davanti. o tutto.
Lui ha una storia da raccontare e ha trovato una barca che spera lo porti a restare nell’Oceano, per sempre.
La notte prima di imbarcarsi ha preso волк, che in russo significa “lupo”. Wolk è il pelouche di suo figlio, l’unica cosa che ha salvato dalla casa prima di darle fuoco.
E l’ha lasciato a me, insieme a un pesante “perché?”.
Ragazzo, ricordati che puoi sempre tornare indietro quando ti accorgi che quello che hai lasciato è più importante di quello che cerchi.
e lo sto dicendo anche a me.
L’ARC se fue.
La mattina dopo è il grande giorno dell’ARC, posticipata al 27 novembre per una tempesta.
La partenza, anticipata di due ore senza preavviso alla città, ha portato 200 barche a salpare inosservate.
Pochissimi, ma c’eravamo.
Noi qui e loro lì, nel silenzio dello stesso cielo cupo.
“Encontraste un barco?”
È il saluto di rito tra le animule vagule blandule nel limbo della marina.
In attesa di incontrare il nostro Caronte, decidiamo di emigrare alla “Cueva”, una cava scavata nella roccia e adibita a ostello, sempre della famiglia Warung.
Ad Artenara, su in montagna al nord di Gran Canaria, fa freddo e diluvia. L’atmosfera ideale per una serata tra compagni di viaggio, vino rosso e papas arrugadas, in un simposio di vite.
Devo aspettare la mattina dopo per restare col fiato mozzato quando mi rendo conto che mi trovo sul bordo dell’enorme cratere di un vulcano.
L’alba si avvicina e tutti dormono, così faccio una passeggiata per farmi svegliare dal freddo e salire qualche gradino che allarghi il mio orizzonte.
Sparita la nebbia, camminiamo per 4 ore sulla montagna. Ma un cuore salentino non si smentisce mai e il sorriso spunta quando arriviamo in cima e… si vede il mare!
Rincasiamo a Las Palmas la sera, dopo un pit-stop in un caseificio sperduto in un paese che sembra Betlemme e prendiamo formaggio, pane e vino che mangio seduta comodamente nel cofano del furgoncino, perché eravamo 6.
Io e gli anticorpi da Highlander.
La Luna Piena porta sempre qualcosa di buono. o qualcuno.
Arriviamo che è ormai sera. Sto per andare via quando Manolo, il proprietario dell’ostello, mi dice che c’è una sorpresa per me.
Corro al secondo piano e lo trovo seduto in cucina: Tom è tornato. E tutti si ricordano di nuovo cosa vuol dire sorridere.
Passiamo la notte in spiaggia perché è l’ultima notte del suo viaggio di riflessione.
Io insegno a Facundo a giocolare, Gerry suona e beve le sue birre, alcuni giocano a torello e gli altri chiacchierano.
Poi Tom prende la chitarra e inizia suonare. E ogni volta è come la prima: improvvisamente nudo, che tutti riusciamo a vederlo e sentire quello che ha dentro.
Quelle persone che ti stravolgono perché ti scavano nell’anima e tirano fuori quello che nascondi. E quando se ne vanno ti resta il vuoto e tra le mani tutte quelle scuse che non puoi più ignorare. ma, soprattutto, ritrovi la forza di reagire.
Io, marinaio stanco di navigare.
Guccini, l’uomo che scandisce questa vita irrequieta con le sue parole, ha deciso che questo è l’ultimo cd e “mai più”: niente concerti né canzoni.
E allora io mi ascolto “L’ultima Thule”, qui sul divano del Warung:
“Ma ancora farò vela e partirò
io da solo, e anche se sfinito,
la prua indirizzo verso l’infinito
che prima o poi, lo so, raggiungerò”.
Prendo io il tuo posto in barca, marinero. E a culo tutto il resto.