Sulle ali di Guadalupa in autostop
La più stiracchiata isola dei Caraibi è Guadalupa, con la sua caratteristica forma di farfalla, curiosa del mondo come fosse il suo primo e ultimo giorno di vita.
Essendosi presto ripresentata la mia allergia urticante a Martinica, molliamo gli ormeggi e ci dirigiamo verso quella che per me si sta rivelando essere la più intrigante delle Antille Francesi.
Una volta a Pointe-à-Pitre (che sembra la capitale ma non lo è), la prima cosa sensata che mi viene in mente di fare è una di quelle che mi piacciono da impazzire: mettermi sulla strada e tirare fuori un timido pollice dalla tasca: “Le Gosier, s’il vous plait”.
Sperduto tra la vegetazione della lunghissima e tortuosa Rue de la Chapelle, trovo e-Gwada Hostel (albergo della gioventù – per dirlo alla francese – o della giovinezza, per dirlo alla Brì).
È Willy che mi dà il bienvenue, accogliendomi con una commovente tazza di caffè fatto con una caffettiera vera. Gli italiani, che mondo sarebbe senza!
“Brì, ti faccio vedere una cosa”. Willy punta il dito verso gli alberi e inizia a contare. Conta, e non si ferma finché non è arrivato a 25. Né alberi né pecore: iguane! Enormi, lente e verdissime, con un solco che ha la classe del ghigno di Joker.
La leggenda narra che siano in grado di volare. Meno romanticamente, quando sono in pericolo mollano la presa e si lasciano cadere nel vuoto.
Per dimostrare la mia tesi, appena nessuno mi vede importuno tutte quelle sufficientemente vicine a farsi spaventare da un “BUHHH”.
Lo sapevo: cadono. Cagasotto.
Figlio del Camerun e del suo Presidente, Jean prepara un bicchiere di Planteur, il tradizionale benvenuto per i nuovi arrivati in ostello: succo d’arancia, goyava, rhum e l’ingrediente segreto. Ai Caraibi ognuno ha il suo: Jean spolvera con un po’ di cannella.
Ci sediamo tutti attorno al tavolo per la cena che abbiamo preparato io e lui: insalata di avocado all’ananas. Sono qui per dare una mano ma siamo fuori stagione e non c’è molto da fare. Ergo ho vitto, alloggio, piscina, wifi gratis e tutto il tempo per esplorare i dintorni!
Passiamo la serata a condividere esperienze con gli altri ragazzi, per lo più metrò (così si definiscono i francesi di Francia) venuti in Guadalupa per le ferie.
Quando decido di andare a dormire, ritrovo tutta la fauna dell’isola venuta a darmi la buonanotte: iguana mignon sul cuscino, rana sulle lenzuola e Bokits (il gatto ha il nome del frittissimo panino tipico – slurp!) con in bocca qualcosa che preferisco non identificare. Congedo tutti ringraziandoli per il caloroso benvenuto e chiudo gli occhi per non vedere altro.
Dopo una settimana vissuta a fuoco lento caraibico, torno a bordo di Tamala.
Di nuovo con l’autostop, ‘stavolta mi prende su un evangelista haitiano che dopo 5 minuti che parliamo decide di allungare di 15 km e lasciarmi a destinazione!
Guadalupa è l’isola più pericolosa dei Caraibi – seconda solo alla vicina Jamaica – eppure la maggior parte delle persone che incontro è disponibile, sorridente e tranquilla. Mi stupisco soprattutto del fatto che siano tante le donne sole che offrono passaggi senza troppi problemi.
Guadalupa mi piace perché ha gli autobus che Martinica non ha.
Anche se solo decorativi, dal momento che non vanno da nessuna parte. O non dove serve, almeno.
Per questo, da quando sono qui, viaggio sempre con l’autostop.
E così ho conosciuto un insegnante che aveva una maglietta con su scritto “BLUES” e che – guarda un po’ – si chiama Blues. Però canta musica classica italiana e in macchina ascolta le canzoni strappalacrime (e tagliavene) di Richard Toupin.
Ho incontrato Maud, che adesso mi è venuto in mente che era senza Harold.
E poi sono salita con una signora e le ho detto “insegua quell’autobus”, perché l’autista non si era fermato essendo lui nero e io no. Il razzismo al contrario, che mi insegna la relatività del mio pallido punto di vista.
Ma l’accoglienza me l’ha data un tipo con un camioncino tenuto insieme col nastro adesivo. Lui, mezzo ubriaco, che sbiascicava creolo, balbettava e non si capiva se parlasse da solo o con me. Che ha saltato 6 uscite che indicavano “Marina” continuando a ripetere che non ha mai lasciato nessuno per strada. Credo nel senso di “fatto scendere”.
Mi piace il profumo che c’è qui.
E il fatto che sia sempre estate e le persone abbiano l’impressione di essere in vacanza, anche quando lavorano. Che poi “lavorare” diventi un eufemismo, questa è un’altra storia.
Guadalupa ha il profumo della vaniglia e di tutte le altre spezie, come le stradine dei porti che accolgono il passaggio di marinai che arrivano da tramonti lontani.
Seguendo gli odori del mercato delle spezie, incontro David, un timido ragazzo che mi spalanca le porte all’universo della vaniglia.
Le sue mani tremano, ma la voce è rassicurante e colorata da viaggi, cultura, entusiasmo e giornate sotto il sole cocente dei Caraibi.
Mi fa assaggiare il pepe rosso che importa dal Madagascar, la vaniglia essiccata di Guadalupa e la vaniglia-banana, che devo dimenticare tutto quello che conosco per capirla fino in fondo.
La sera infilo la mano nella tasca e ne estraggo i due pezzettini di cannella che mi ha lasciato. Quando li spezzo, è un vaso di Pandora che libera nell’aria tutto il loro profumo e le mie sensazioni. Uno è più dolce ma il secondo sa di arancia. Mi riempio le narici per prolungare il più possibile il ricordo di questi giorni in un mélange di Basse-Terre e Grande-Terre.
E nel fondo del vaso, resta quel mio tramonto lontano che ho voglia di rivedere.