In fuga dalla tempesta Chantal
E riparto da Cuba dopo una nottata con febbre improvvisa 39°.
Che vuol dire freddo -> notte insonne -> tanta stanchezza: gli ingredienti perfetti per… ta-dààààà il MAL DI MARE!
Le 5 F, come dicono i F-Francesi: la Faim, le Froid, la Fatigue, la Frousse et la “Foif” (che dovrebbe essere Soif – sete – ma non comincia per F. non fateglielo notare che sono irascibili e tanto hanno sempre ragione).
La F che manca alla mia collezione è la paura (frousse), ma è qui che il vizioso entra in circolo.
La prima notte di navigazione è da fischia il vento infuria la bufera.
Troppi nodi di vento che non si sciolgono, Tamala che corre col fiatone piegata su un fianco e secchiate d’acqua che allestiscono un’atmosfera da schiuma party horror.
Il lupo di mare al timone sembra un cowboy sul toro scatenato mentre impreca col vento che non è abbastanza vento, le onde che sono troppo onde, la tempesta che è troppo bagnata e la notte troppo buia. Dài, si vede che si diverte.
Mentre la prua dà delle panzate di 20 tonnellate sull’acqua io, di traverso sul materasso, mi aggrappo ai bordi per non precipitare sul pavimento un metro sotto, dove molte cose giacciono inerti, capitolate valorosamente prima di me.
Forse resto sveglia o forse mi addormento ma pietà vuole che – indipendentemente da me – il sole sorga anche quest’oggi.
Tiro fuori la testa dal mio guscio e, barcollando senza forze, mi avventuro verso la luce alla fine del tunnel. La prima cosa che sento venendo fuori dagli inferi è odore di qualcosa di putrido in decomposizione, che incita la mia nausea. Sorridente, il Capitano mi indica una scatoletta aperta: “sardine intere, ne ho lasciate un po’ per te!”
Divento immediatamente verde e mi sdraio nel pozzetto, dando inizio a una fase di coma vegetativo che durerà qualche giorno.
A rendere più snervante la navigazione contribuisce il vento frontale, che ci costringe a fare infiniti zigzag che in linea d’aria sono appena 20 miglia al giorno.
Il pit-stop che avevamo previsto di fare in Repubblica Domenicana salta: il vento e il mare hanno qualcosa di stranamente insolito.
E, guarda un po’, adesso il meteo segnala sulla mappa un’improvvisa palla rossa proprio bellina: una tempesta tropicale incrocia la nostra rotta!
Pensiero di Brì: “Figataaaa!”.
“Merda, spieghiamo le vele e andiamo di corsa giù a Martinica” (tutto ma martinica noooooo).
Ma also sprach Monsieur Passavant. e non si discute.
E fu così che i 5 giorni previsti di navigazione divennero 17 notti da incubo. E l’acqua potabile finì, mentre Tamala ne faceva da tutte le parti.
“Ah mi è venuto in mente come si chiama lo scrittore francese che ho letto: Radiguet!”
SBAAAAAMMM!
“Cazzo, si è strappato il genois (i.e. vela di prua)!!!”
Bene. Come ho già detto, i naviganti francesi sono superstiziosi. Ma hanno sempre un perché, guai se dessero l’impressione di esserlo.
Non si parte di venerdì perché la notte prima i marinai si gustavano il giorno libero andando a ubriacarsi o nei bordelli. E la mattina dopo col cazzo che si alzavano.
Non si dice “coniglio” perché – come il topo – è un roditore: e in una barca di legno, meglio non averlo come equipaggio.
Non si dice “corda”, questo è universale. “Cima” per i puristi ma la ragione – snobbismo a parte – è che la corda veniva utilizzata per impiccare quelli che ammutinavano.
Non si dice “verde”: è il colore del muschio, che contraddistingue una barca… morta.
Aggiungo, da adesso, anche “Radiguet”: boh, sarà che è morto a 20 anni e porta sfiga.
Ad ogni modo, dopo appena qualche giorno abbiamo una vela in meno. E una su due è sufficiente a farci restare nelle grinfie di Chantal – questo il nome della palla rossa. La defnizione di tempesta tropicale la colloca qualche kn/h sotto il ciclone. Nel nostro caso, Chantal ci insegue in una corsa pazza a 65 kn/h: appena 10 di più e ci troveremmo nel bel mezzo del Mar dei Caraibi faccia a faccia con il primo ciclone della mia vita.
Ma non sarei qui a raccontarvelo.
Il tempo stringe e uno dei due deve andare a prua a tentare una riparazione di fortuna in attesa che faccia giorno. che gli intrattenimenti arrivano sempre al buio, così ci sembra di essere al Luna Park.
Mi avventuro io e “Brì, aspetta. Lo sai che se cadi in mare di notte…”. Lo so.
Devo domare una vela che sbatte impazzita mentre la cima sferza l’aria con delle frustate alla cieca.
Dal timone a poppa il Capitano mi urla qualche istruzione ma col vento che c’è non sento nulla.
Mi faccio coraggio, con un braccio mi copro il viso e mi lancio in un’improvvisazione surrealista mentre mi sembra di essere nel mezzo di un’orgia sadomaso.
Nonostante me, la cosa funziona! E – sorpresa – ho ancora 2 occhi e 10 dita!
“Senti, scegli un cartone della Walt Disney che per oggi ne abbiamo passate abbastanza” (Il Capitano che tira sempre qualcosa di buono dal forno): “Il pianeta del tesoro”. Che, tanto per cambiare, si svolge su una barca.
Per festeggiare, prendo dalla stiva (che forse ora ha un nome meno legnoso e più poliestere) una scatoletta: lenticchie accompagnate da un incrocio malriuscito tra wurstel e salsiccia, color arancione fosforescente. la cosa più bella e profumata mai vista.
Mentre il diluvio imperversa e Tamala ruggendo si lascia indietro distanze che sembrano infinite, tutto cigola come se il soffitto debba scoperchiarsi da un momento all’altro.
Per allietare l’atmosfera, mi prodigo in domande rassicuranti: “Ma com’è che il legno non si spacca?” “E se l’albero si rompe qui in mezzo al nulla a centinaia di miglia dalla costa?”.
Provo a dormire. Sulla panca, ma la barca è troppo inclinata e cado. Allora mi sistemo a poppa, ma dopo poco arriva un’onda a farmi la doccia. Mi sposto per terra, sul legno del pozzetto. Ma rotolo tra sottovento e sopravento. Reprimo un motivato istinto omicida e mi appallottolo in mezzo alle cime e i winch.
Intanto le onde nere di 4 metri si sollevano guardandomi dall’alto e poi vengono giù e coprono tutta la luce e inghiottono la barca.
E poi il calamaro gigante con i tentacoli avvolge lo scafo in un abbraccio vicini vicini, per sempre nell’abisso.
“Aaaaaaaaa, quanti nodi quanti nodi?!?” Mi sveglio dagli incubi di navigazione.
Uno dei momenti topici di questo incredibile ritorno è quando vado in spedizione a prua per sistemare una cima.
La cosa divertente è che mentre io rischio la vita il Capitano fa l’art director.
Come se le montagne russe non bastassero, improvvisa arriva un’onda (minuto 1:20 nel video) che, senza cintura di sicurezza, mi avrebbe spazzato via in un istante.
Esattamente qui, ho pensato “ohccazzo”. Poi, solo paura.
“vabbè, te lo dico. in 40 anni di navigazione solo 2 volte ho avuto mare così duro. potrai raccontare cosa vuol dire tempesta tropicale.”
sì. se sopravvivo.
Ma Sebastian mi conforta assicurandomi che nel peggiore dei casi in fondo al mar non si rischia di affogar e la vita è piena di bollicine, in fondo al mar.
Brìììììì, la putain! il diario di bordo è un documento ufficiale! non puoi scrivere “i coglioni” nella lista delle cose da riparare!
Da Brì sopravvissuta a quella st****a di Chantal è tutto.